Adriano Cortiula

I fabbri illustri

Giulio Cesare Croce

 
Un fabbro un comico, ironico, brillante, figuriamoci se non lo elencavo.
E’ il fabbro che l’enciclopedia Treccani ha dedicato più pagine.
Nato nel 1550 figlio di fabbri e fabbro a sua volta, morto il padre, lo zio continuò a cercare di dargli una cultura, non era poverissimo anzi, ma ebbe due mogli e 14 figli, morì in povertà nel 1609.
Croce fece il fabbro a Medicina e qui cominciò anche a scrivere poesie. Furono proprio questi primi versi, ridanciani, popolani e burleschi, che lo resero famoso nel circondario e che lo portarono ad allietare i festini della nobile famiglia bolognese dei Fantuzzi, proprietaria di un podere a Medicina.
Noto, ovviamente dopo morto, per aver scritto il Bertoldo e altre 600 novelle, è il fabbro che più ha influito sulla letteratura, suoi accoliti:  Luciano di Samosata, Rabelais, Miguel de Cervantes Saavedra e Dostoevskij.

I fabbri illustri  Giulio Cesare Croce

Sul secondo lavoro di Croce.

Su di Lui ho letto questa frase:
“La deformazione grottesca e caricaturale in Croce è figlia del grottesco carnevalesco (non è deformazione mirante a scavo psicologico) e della deformazione iperbolica.”
Non ho la più pallida idea di cosa voglia dire il geniale estensore di una così alta e sublime nota. Sono invece sicuro che se Giulio fosse vivo lo manderebbe a fare in culo a velocità supersonica, uno che ha passato la vita ad allietare il volgo con novelle e un linguaggio adatto ad essere capito da tutti, si ritrova commemorato da un imbecille che scrive in modo da non essere capito.
A me pare che le novelle di Croce rimangono un prodotto da officina fabbrile, meccanico, un vero prodotto artigianale, arte applicata, ricci uguali fatti sempre in modo diverso, modelli collaudati e apprezzati dal gusto popolare.